Charlie è un bambino inguaribile, non un malato terminale. E’ un bimbo che da poco ha lasciato il grembo materno, dove era al sicuro, per venire tra noi, per vedere la luce fra gli uomini.
Ma la scienza e la legge fatte entrambe dagli uomini, hanno decretato la sua morte. Quella scienza che dovrebbe lottare contro le più gravi malattie, che ha cara la vita, e quegli uomini di legge che combattono i crimini, che giudicano chi fa del male ad altri esseri umani, ebbene sono questi uomini dal camice bianco e dalle toghe nere che hanno deciso la morte di un esserino di pochi giorni, nonostante le suppliche dei genitori.
Si sentono arbitri di vita, dal potere decisionale che non rispetta nulla e nessuno, né il giuramento di Ippocrate né tanto meno quella giustizia di cui sono paladini. Che cosa temono? Che Charlie sopravviva a lungo? Che violi la legge? Che faccia scandalo una vita che costa a quella sanità che dovrebbe curare e non uccidere?
Guardo gli occhi di mio figlio, occhi azzurri intensi, profondi, occhi che hanno fiducia in me, che mi guardano sapendo che mai lo tradirò, sguardo che la scienza un giorno mi disse che non mi avrebbe mai riconosciuta, che il suo corpicino sarebbe stato sempre e solo a giacere in un letto. E per fortuna, allora, i camici bianchi non si sono inventati di adire alle vie legali per toglierlo di mezzo.
Lui mi riconosce, cammina anche se con passi incerti, vive una vita di affetti ed io ne sono fiera.
L’uomo del ventesimo secolo ha smarrito la ragione ed è arido di sentimenti, mentre è proprio l’amore ed il rispetto per la vita alla base di ogni legge sociale. "Non uccidere" dice il quinto comandamento, e lo hanno dimenticato. Troppa superbia, troppa la voglia di una esistenza tranquilla, senza doversi dannare per un bimbo che cresce male. Ma a pensarlo sono “solo” medici e giudici, non i genitori che supplicano invano che al loro piccolo non venga staccata la spina.
Piera Cipresso
Vicepresidente AIAS Nazionale